“Prima che arrivi la neve ci devo andare”. Questo mi ripetevo tutte le settimane, o almeno quando ci pensavo, il che accadeva spesso.
 
Era il mio obbiettivo dell’anno, andar lì a pensare, a rendere omaggio a quei ragazzi di cent’anni fa. E così alle cinque del mattino sono in piedi, di solito la notte prima di un giro escursionistico in mountain bike non riesco a dormire molto. Troppe cose a cui pensare, cose che a me piace incastrare per bene dentro lo zaino e dentro la mia testa. Parto che è ancora buio facendo attenzione a non svegliare i bambini che ancora dormono, pacifici nei loro sogni, mentre il mio, oggi, stava per iniziare.
 
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Anche Asiago dorme ancora quando metto le mie ruote tassellate a terra e inizio a farle girare per scaldare le gambe. Mi guardo attorno, il fieno tagliato e ordinato a terra sui prati, i profumi del mattino, le montagne distese all’orizzonte mi dicono che sono al posto giusto.
 
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La salita piacevole, larga, sterrata, mi accompagna verso l’alto senza timori ed io la seguo sicuro. Per ogni evenienza mi sono portato anche la radio ricetrasmittente che provo ad accendere, smanetto un po’ sui canali e mi ritrovo dentro ad una sit-com di due improbabili fungaioli che essendosi persi fra loro, iniziano a darsi indicazioni per ritrovarsi e questo mi strappa più di una risata. Anzi, li esorto a non ritrovarsi, perché mi stavo divertendo troppo.
 
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E così, tra una risata e una pedalata, sono già arrivato a Malga Galmarara dove mi vedevo già seduto a tavola per una colazione coi fiocchi. Ma visto l’orario troppo mattutino, così non è stato; reagisco bene alla sconfitta del mio animo goloso e dopo qualche foto, riprendo la mia mountain bike e continuo a salire. Il tratto che porta a Bivio Italia lo avevo già percorso tempo fa e ancora una volta mi piace molto con quella sua salita costante e ben pedalabile. Ma è dal Bivio Conrad in avanti che il mio cuore si apre per accogliere la Storia di questi luoghi.
 
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Essendo da solo mi assaporo tutto, scrutando ogni dettaglio, prendendomi il lusso di rallentare. Leggo le insegne alla Busa del Cavallo, punto logistico militarmente importante in cui giacevano baraccamenti e magazzini, e poco più avanti trovo quello che rimane del cimitero militare del Cuvolin.
 
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Proseguo sulla strada, che ora si snoda tra la roccia scavata, quando ad un tratto un fischio, forte ed imprevedibile fino ad un istante prima, mi fa sobbalzare sopra al manubrio largo della mia bici: una marmotta gigante mi attraversa la strada, passando a balzi veloci, fino a raggiungere il prato poco più a destra, sopra una sommità, dietro un piccolo cespuglio verde.
 
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Ecco, quella dovrebbe essere la sua casa e ancora una volta mi sento ospite in questo mondo, sento il dovere di passare in silenzio, per non disturbare lo scorrere del tempo, quassù così diverso e dilatato.
 
Mi avvicino sempre più al cippo spezzato della cima, passando ora su sentiero stretto, smosso, un po’a piedi, un po’ in bici, con lo sguardo che guarda lassù.
 
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Arrivo in vetta all’Ortigara, nessuna impresa, nessuna gioia, soltanto la voglia di essere qui in questo momento. Penso alla guerra, penso alla pace, penso…
 
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Aggiungo un sasso ad una piramide fatta giorno dopo giorno da altri viaggiatori, poi una foto accanto alla “Colonna mozza” per ricordarmi sempre di questo momento.
 
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Il mio piccolo, umile, sentito omaggio alle migliaia di persone, giovani soldati morti su questa montagna.
 
Ora scendo, solo, il primo tratto a piedi, in silenzio.
Poi la mia mountain bike inizia a danzare veloce, libera, in pace e mi riporta a casa a riabbracciare la mia famiglia.
 
Foto di Massimo Bordin
Testo di Massimo Bordin
 
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