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Giorni di vacanza per me e la mia famiglia, lungo la riviera di Makarska, in Croazia, senza risparmiarsi di sprofondare nella sedia a sdraio assaporando il contrasto dei colori attorno a me, mescolati alla gioia di mio figlio coi nostri mille giochi e il mare riflesso nei suoi occhi.
 
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Ma la mountain bike non esita ad accompagnare i miei pensieri nelle giornate soleggiate in spiaggia, con i piedi a mollo, tra quei suoni d’onda salmastra e il fragore dell’acqua cristallina che si infrange sugli scogli e, soprattutto, si stampa indelebile nei miei ricordi.
 
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Sono molti i momenti del giorno in cui osservo quelle vette alle mie spalle, e il desiderio di esplorare il territorio che circonda i miei giorni di festa, mi cattura sempre di più! Così… in breve tempo, sono risucchiato nel pianificare un percorso attraverso le alpi Dinariche, le cime tanto osservate, quelle prescelte da me oggi!

Così, a tavolino, accompagnato da una buona bevanda fresca, preparo la mia avanscoperta tra cartine, computer, ogni tecnologia in mio possesso per cercare di dare una forma ai miei ideali di biker, e nella scelta del tracciato sono “elettrico” all’idea di nuovi panorami da vedere, fotografare, attimi da raccontare a chi voglio bene e da imprimere nel mio spirito.

Il download della nuova traccia termina, carico il percorso nel navigatore GPS, ma soprattutto nella mia mente, cosciente che il mio giro stava per iniziare.

La mia Trek è pronta, lei è del 1999, un po’ datata lo so, ci penso spesso ma insieme abbiamo attraversato una moltitudine di avventure e siamo in perfetta sintonia, a me tanto basta, siamo inseparabili, ormai è una questione di pelle.

Controllo la pressione delle gomme, i freni, i serraggi, e faccio gli ultimi ritocchi vista la mia meticolosità. Allaccio il casco, faccio mente locale prima di avviarmi. Fammi pensare: cibo, acqua (che da queste parti si fa molta fatica a trovare, accidenti), le luci, sì cavolo quasi le scordavo, che testa: nell’eventualità di un “ritardo” non previsto meglio averle, la radio, per sentire, e farmi sentire da chi a casa attende il mio ritorno, la bici sistemata a puntino e mi avvio all’inizio del percorso scelto.
 
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Armato di ogni desiderio, con nello zaino tutto ciò che mi possa servire, parto da Podstrana nei pressi del piccolo golfo di Stobreč. Sullo sfondo, il mare accoglie il mio arrivo con i suoi colori, maestoso, i nostri sguardi s’incrociano… con quel nodo alla gola che fatica ogni volta ad andarsene.

E così, in un gentile canto di pedali, nel rispetto di questo magico momento, gusto ogni attimo della mia escursione che inizia. La ricerca e la scoperta di queste cime tanto sognate per svariati giorni, si stava avverando e io mi tuffo in una esplorazione quasi incantata.
 
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Stabilisco fin da subito una sana intesa con la mia macchina fotografica, per non perdermi nulla, per poter raccontare ai miei amici il perché dei miei occhi “sempre lucidi” e, in un “mangia e bevi” di strade sterrate nel morbido scendere delle gocce di sudore dalla fronte, raggiungo un isolato con delle vecchie casare e un capanno per attrezzi e, osservando, pedalo in un sentiero scorrevole fronte a me che ho battezzato nel mio diario di bordo “la strada degli aghi“, dacché in entrambi i lati vi sono delle piante così fitte di aghi, che se ci cado dentro, divento un puntaspilli, penso sorridendo.
 
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È un piccolo paese Gornje Sitno, ma è la mia “Cortina” di oggi, un luogo antico, lo percepisco addosso come un vestito, e vedo persone d’altri tempi, su di una vecchia sedia, nell’attesa del calar del sole, altri luoghi e abitudini rispetto alle mie da città! Ritmi dove il tempo sembra si sia fermato!

Porgo dei saluti a mio modo, sorrido ad un anziana signora che, sbigottita, mi osserva passare con questa bici sgargiante dei più svariati colori, chiedendosi forse il motivo della mia inusuale presenza o passaggio proprio lì, in quello sperduto anfratto di mondo, lungo quella piccola insignificante strada, di un piccolo paese nelle Alpi Dinariche.
 
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I chilometri scorrono sereni tra le mie pause fotografiche, ma sono accaldato, assetato e stanco anche se ho fatto appena una ventina di chilometri e, quasi per incanto le mie preghiere si esaudiscono, nell’incontro di una “konoba” lungo la strada, osteria in lingua croata, dove alcuni contadini siedono all’ombra di una pergola chiacchierando tra di loro.

Immancabilmente mi lascio trasportare dal richiamo di quella fresca Karlovačko sopra il loro tavolo, la birra tipica di queste zone, mi siedo una manciata di minuti per degustare la mia bevanda fresca dalle mille bollicine, riposo e riprendo fiato, mi sembra di rinascere!
 
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Qualche attimo ancora, mi godo ogni secondo come fosse l’ultimo, ma mi rimetto in marcia dando uno sguardo al navigatore che mi dice di attraversare il paese, e affianco un vecchio caseggiato di guerra con varie scritte che ruba la mia attenzione e penso al rumore, qui, in quel tempo di spari, ma proseguo lentamente nel mio percorso, silenziosamente, quasi per non “disturbare” ancora.

Pedalo e assaporo ogni metro di questi sentieri, anche il più ripido, scosceso o dissestato, sono un biker in fondo, e la fatica paga sempre per ciò che essa mi conduce a vedere. Quella lingua grigia che si aggrappa alla montagna quasi come fosse sospesa mi fa toccare con le mani il mio cielo di oggi, l’osservatorio astronomico Zvjezdarnica Selo Mosor, e osservandomi attorno rubo qualche immagine là fuori, col mio piccolo apparecchio, qualcosa sotto i denti, c’è silenzio, e respiro, lentamente.
 
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Vedo, laggiù da dove ero partito, Spalato e il mare, che mi salutano. Sorseggio e respiro ancora, ma il sole scende veloce e mi dice di ripartire.
 
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È giunto il momento di rientrare: giro la mia bici, più in basso tra le abitazioni vedo le prime luci, e il tramonto accoglie la mia discesa. Col vento tra le fessure del casco sento il rumore delle ruote tra i sassi lasciando un segno tra la polvere, il mio segno, l’impronta del mio passaggio, in attesa di essere nuovamente calpestata.

Scendo veloce ma con riguardo e rispetto della natura, per questo grande regalo che ricevo, e nello scorrere dei metri sotto di me, immagino come sarebbe tornare qui con i miei amici.
 
Testo e Foto di Matteo Scarso
 

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